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Un’isola in mezzo a una tempesta

un'isola nel mezzo della tempesta
Scritto da Maurizio Pittau

Irlanda. Il paese delle meraviglie. Una terra che per secoli ha conosciuto la povertà, l’emigrazione di massa, l’ombra lunga del cattolicesimo conservatore. Ora, invece, nuota nell’abbondanza. Ricchezza pubblica e privata, una economia aperta, un’energia pulsante che la rende una calamita per il capitale globale e i lavoratori di tutto il mondo. Nessuna illusione su età dell’oro perdute: il ricordo della fame e delle navi che salpano per l’America è troppo vivo per lasciarsi sedurre dai fantasmi del passato. Numeri da sogno: tre milioni di lavoratori, disoccupazione ai minimi storici, sempre piu’ italiani che chiedono il PPS number, un debito che si sgonfia sotto il peso del PIL.

Ma i numeri non sono tutto. La gente viene a vivere a Dublino per il Prodotto Interno Lordo, ma poi scopre l’affitto che sale, il medico che non trova, la casa che non può comprare. Perché l’Irlanda si regge su un paradosso. Ricchezza senza stabilità. Multinazionali americane che piantano le loro bandiere tra Dublino e Cork: Apple, Pfizer, Meta, Microsoft. Portano miliardi, pagano stipendi, riempiono le casse dello stato con imposte societarie che toccano i 30 miliardi di euro. Con questi soldi, il governo gioca al piccolo alchimista: taglia le tasse, aumenta la spesa pubblica, riduce il debito. Un sogno politico. Ma i sogni hanno la tendenza a diventare incubi. L’Irlanda si scopre fragile. Le strade non reggono il traffico, gli ospedali scoppiano, le scuole soffocano. Gli affitti divorano gli stipendi, la casa di proprietà è un miraggio per i giovani. Senza infrastrutture, senza un piano, la ricchezza diventa un’illusione. Il benessere un’ombra sfuggente.

E poi c’è la gente, tanta gente. L’Irlanda cresce, si popola. Dopo secoli di partenze, ora arrivano. Migranti, rifugiati, lavoratori qualificati. L’Europa si riversa sulle coste irlandesi, il mondo si rifugia nelle sue città. Ormai tanti italiani si stabiliscono e spesso chiedono la cittadinanza. Eppure, l’accoglienza si scontra con il caos. “Ireland is full”, gridano in strada. Uno slogan che sa di farsa e di verità insieme. Perché questo è un paese di cinque milioni di anime, una terra ancora vuota. Ma che si sente soffocare.

C’è qualcosa che nessuno dice. Qualcosa che si avvicina come una tempesta all’orizzonte. Gli Stati Uniti. Trump. La guerra commerciale tra Europa e America. L’Irlanda è un bastione della globalizzazione, un ponte teso sopra un oceano che potrebbe risucchiarla. Per ora, tutti fanno finta di non vedere. Per ora, le luci sono ancora accese, le aziende ancora investono, i soldi ancora circolano. Ma quanto può durare il gioco? Quanto può resistere un’isola nel mezzo di una tempesta?

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Maurizio Pittau