A Venezia sta registrando un grande successo di pubblico la Biennale Arte 2024. La 60esima Esposizione Internazionale d’Arte, dal titolo Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere, a cura di Adriano Pedrosa, è aperta al pubblico da sabato 20 aprile e lo sarà fino a domenica 24 novembre, ai Giardini e all’Arsenale.
Exile is a hard job
All’ingresso della esibizione ai Giardini, immagini di immigrati sovrapposte alla frase “L’esilio è un duro lavoro”, sono presenti nell’opera di Nil Yalter. Non sia mai che qualcuno pensi che la vita sia facile, nemmeno all’ombra del Leone di San Marco. Poi passiamo a un mondo di astrazioni e sculture dipinte della metà del XX secolo, la prima di numerose sezioni della mostra di Pedrosa che esaminano il modo in cui i linguaggi artistici tentano una lingua franca e un’universalità che non potranno mai realmente avere. Tracciando il viaggio del modernismo europeo verso il sud del mondo, e i modi in cui è stato adottato e adattato, e con interpretazioni tardive del cubismo, dell’astrazione geometrica e dell’informalismo del dopoguerra, delle scene kitsch e dell’auto-realtà poco avventurosa ma a volte appariscente. ritrattistica, queste opere aggiungono ben poco.
Poi, ti imbatti in opera che ti fanno fermare: raffigurazioni di alberi e animali selvatici, e l’interconnessione dell’ambiente naturale e i mondi spirituali, opere contro la guerra, immagini lisergiche di popoli lontani, scene di sesso intime sfrenate, automutilazione erotizzata, la fluidità sessuale esposta nelle sue mille rappresentazioni, il colonialismo brutale dell’Occidente, la difficile integrazione degli stranieri in città sempre meno ospitali, i viaggi tortuosi attraverso le mappe dell’Europa e del Nord Africa, scene apocalittiche di un futuro sempre più vicino, colori vibranti per allontanare la paura e scene dallo spazio per riflettere su quanto siamo piccoli. Il viaggio attraverso la mostra è spesso transculturale, transdisciplinare, transtemporale, transessuale e talvolta anche postumano.
Un elemento che contraddistingue questa edizione, tradizionale e con una eccessiva dominanza di opere d’arte figurative e tessili, è l’influenza della politica in molte esibizioni: il curatore della padiglione di Israele ha deciso di tenere chiuse le porte fino al cessate il fuoco e la liberazione di tutti gli ostaggi, la Russia ha donato il suo padiglione al paese amico Bolivia e la Polonia dedica i suoi spazi alla guerra in Ucraina. “L’espressione Stranieri Ovunque, ha spiegato Adriano Pedrosa, ha più di un significato. Innanzitutto, vuole intendere che ovunque si vada e ovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. In secondo luogo, che a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri”. Ognuno di noi è straniero da qualche parte, spesso anche quando si è a casa. Figuriarsi quando si vive all’estero.
Nucleo Storico – Italiani Ovunque
Nucleo Storico – Italiani Ovunque
La Terza Sala del Nucleo Storico Italiani Ovunque è dedicata alla diaspora di artisti italiani che hanno viaggiato e si sono trasferiti all’estero integrandosi nelle culture locali e costruendo le proprie carriere in Africa, Asia, America Latina nonché nel resto d’Europa e negli Stati Uniti; artisti che spesso hanno avuto un ruolo significativo nello sviluppo delle narrazioni del Modernismo al di fuori dell’Italia. In questa sala sono esposte le opere di 40 autori italiani di prima o seconda generazione, collocate negli espositori a cavalletto in vetro e cemento di Lina Bo Bardi (italiana trasferitasi in Brasile, vincitrice del Leone d’Oro speciale alla memoria della Biennale Architettura 2021). Un’esperienza eterogenea, quasi caotica, che rispecchia la frammentazione delle vite degli artisti.
Questa sezione si rivela un omaggio critico e provocatorio ai molti creativi italiani che, per varie ragioni, hanno trovato ispirazione e successo lontano dalla patria. Un tributo sentito e potente alla creatività che fiorisce anche nelle circostanze più avverse. Appena varcata la soglia della Terza Sala, si è immediatamente colpiti da una pluralità di voci e stili che, pur variando ampiamente, sono uniti da un filo conduttore comune: l’esperienza dell’esilio e della migrazione. Le opere esposte riflettono le tensioni, le speranze e le nostalgie di chi ha dovuto o scelto di lasciare l’Italia, per cercare altrove la propria identità artistica. L’allestimento della sala è deliberatamente eterogeneo, quasi caotico, rispecchiando la frammentazione delle esperienze di vita degli artisti in mostra. Tra le opere più significative, troviamo quelle di due artisti sardi emigrati a Maiorca e New York. Le tele accese e calde di Aligi Sassu, il cui uso audace del colore esprime un’esplosione di emozioni contrastanti, sono simbolo di una continua ricerca di appartenenza. Le tonalità intense e lo sfondo marittimo riecheggiano il ritrovato paesaggio mediterraneo al quale l’artista era approdato dopo il suo trasferimento a Maiorca. Accanto a queste, le installazioni di Costantino Nivola esplorano la dualità dell’identità culturale. Nivola utilizza, per creare un dialogo immersivo tra il passato e il presente, una scultura in sabbia che si oppone con sforzo alla forza di gravità, affermando in tal modo la propria volontà di vita. Il monumentale bassorilievo che domina lo spazio, realizzato con l’esclusiva tecnica di sand casting sviluppata dall’artista mentre giocava con i figli sulle spiagge di Long Island, trae ispirazione dalle figurine preistoriche sarde, dalle maschere tradizionali del carnevale isolano e dall’interpretazione della New York School delle culture totemiche dei nativi americani.
La Terza Sala non è solo una celebrazione della diaspora italiana, ma anche un dialogo continuo tra tradizione e innovazione. L’esperienza della diaspora è esplorata principalmente a livello individuale. Anna Maria Maiolino, residente in Brasile e premiata con il Leone d’Oro alla carriera, mostra una quieta introspezione e una connessione profonda con la terra natia. Nella sua mappa dell’Italia bruciata nella sua interezza, vuole evocare il bombardamento senza precedenti perpetrato ai danni dell’Italia dalle forze alleate nel 1942, anno di nascita dell’artista, ed esprime il suo astratto senso di alienazione dal suo Paese d’origine. Le fotografie di Paolo Gasparini (da Trieste al Venezuela) catturano un guerrigliero armato cubano con indosso un’uniforme sporca e supportano una rivoluzione mai avvenuta in Italia. Luigi Domenico Gismondi (da Sanremo al Perù) sceglie di ritrarre individui in abiti quechua tipici di Cusco, dove lo sfondo è decisamente non andino, ed evoca invece un sentimentale paesaggio onirico di giardini europei e colline toscane. La Terza Sala del Nucleo Storico si configura come un invito alla riflessione sulle dinamiche della migrazione e sull’impatto che queste hanno sull’identità culturale e artistica. Le opere esposte non solo testimoniano le difficoltà e le sfide affrontate dagli artisti italiani nella diaspora, ma celebrano anche la resilienza e la capacità di reinventarsi.
Padiglione Irlanda
La Mostra e’ affiancata da 88 Partecipazioni Nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia. L’Irlanda e’ presente all’Arsenale con ROMANTIC IRELAND, un’installazione video multimediale con una colonna sonora operistica all’interno di una scultura immersiva costruita sulla terra. Il progetto di Eimear Walshe, curato da Sara Greavu con il Project Arts Centre, esplora la complessa politica dell’edilizia collettiva attraverso la tradizione irlandese del “meitheal”: un gruppo di lavoratori, vicini, amici e parenti che si uniscono per costruire. Il lavoro di Walshe esplora il rapporto con la terra e il concetto di rifugio basato sull’azione collettiva e sulla comunità.
I video sono stati stato girati presso il centro di competenze sostenibili, “Common Knowledge”, con sede nel profondo Burren, sulla costa occidentale dell’Irlanda. Presenta un gruppo di sette artisti guidati dal coreografo Mufutau Yusuf. La colonna sonora è un’opera che descrive la scena di uno sfratto, è composta da Amanda Feery su libretto di Walshe. Il video incanta gli spettatori, riportando in vita l’antica pratica delle costruzioni in terra cruda, il cui spirito si riflette anche nelle panche e nelle sedute da cui si assiste alla proiezione. Le tre coppie di schermi si fondono in un’opera lirica contemporanea, raccontando una storia che, con tono disturbante, sfida l’idea comune di un’Irlanda verde, serena e rigogliosa. I protagonisti, vestiti con abiti ordinari, nascondono i loro volti dietro maschere di vinile dal chiaro richiamo fetish. I corpi si incontrano in una danza di scontri, lotte e carezze; mani e piedi affondano nel fango, simbolo delle fatiche del lavoro e della vita domestica. In mezzo alla fredda e misera rovina, si scorge però un senso di comunità ora perduto.
Al termine della Biennale, l’opera sarà riportata in Irlanda per un tour nazionale, supportato dall’Arts Council, che toccherà varie località dell’isola. Ricreando elementi dell’installazione in ogni sede, il tour irlandese consentirà al pubblico residente in Irlanda di sperimentare il lavoro di Eimear Walshe. È in fase di realizzazione anche un film documentario sul progetto. La ricerca artistica e la produzione di Eimear Walshe sono profondamente legate alle radici dell’Irlanda, ma nell’opera si vede la visone di una nazione in crisi crescente, tema centrale del suo operato. L’istallazione renda omaggio a coloro che continuano a essere rifugio l’uno per l’altro e crea un legame tra un passato povero e difficile, ma solidale e un presente oppulento apparentemente facile, ma piú individalista. Nei video inseriti nel progetto si rivendica un senso di relazioni, luoghi e connessioni perduti e si invita a tornare alla storia, la comunità, la lingua e la tradizione.
Padiglione Italia
Si intitola Due qui / To Hear il progetto espositivo per il Padiglione Italia a cura di Luca Cerizza che ha il suo nucleo centrale in una grande installazione sonora e ambientale dell’artista Massimo Bartolini attraversabile dal pubblico. L’intervento è sostenuto dal Governo Italiano (800mila euro) e dalla Tods e da Banca Ifis (altri 400mila euro). Il Padiglione è composto da tre momenti: la prima presenta una scultura di un Bodhisattva pensieroso su un parallelepipedo musicale, la seconda presenta un organo che diffonde una musica elettronica in un labirinto di elementi in metallo sia in verticale sia in orizzontale in pianta, mentre il giardino ospita un’installazione sonora, su cui pochi si soffermano. Il progetto di Bartolini è una riproposizione di opere già esistenti, adattate al nuovo contesto, senza portare grandi novità o innovazioni. Inoltre, l’installazione non si adatta bene al luogo in cui è stata collocata, creando un senso di disorientamento tra i visitatori.
Il titolo del progetto, “Due qui/To hear”, gioca sull’assonanza fra la traduzione inglese “Two here” e la sua pronuncia, “To hear”, cioè “udire, ascoltare”. Il padiglione è stato progettato per essere un luogo di riflessione e ascolto, dove i visitatori possono immergersi in un’esperienza sensoriale che abbraccia la musica, la natura e la spiritualità. Purtroppo né le musiche composte da Caterina Barbieri, Kali Malone e Gavin Bryars, che vengono eseguite all’interno del padiglione, né il giardino esterno spoglio e spiazzante, riescono a offrire una esperienza immersiva e coinvolgente ai visitatori.
Dopo questo ennesimo Padiglione Italia deludente, c’è da chiedersi se abbia ancora senso affidare il Padiglione Italia a un solo artista, considerando che fino ad ora nessun progetto monografico per il Padiglione Italia è riuscito a soddisfare l’enorme spazio delle Tese delle Vergini (1.200 metri quadrati). Il progetto non riesce a coinvolgere i visitatori, poiché l’installazione è troppo complessa e richiede una concentrazione troppo alta per essere apprezzata alla fine del lungo percorso dell’Arsenale. La sensazione è che il linguaggio concettuale di Bartolini non sia attuale, considerando che gli artisti contemporanei che si vedono negli altri padiglioni sembrano più interessati a creare opere più innovative, immediate e coinvolgenti.
La Biennale Arte 2024 è un viaggio caotico e contraddittorio, che riflette l’infinita complessità del mondo moderno. Tra opere che affascinano e altre che lasciano perplessi, una cosa è certa: Venezia, anche con i 5 euro di ticket di ingresso, è sempre una buona idea, anche solo per perdersi tra i suoi canali e le sue mostre e dimenticare, per un attimo, le fatiche dell’esilio.