E’ passato poco piu’ di un anno (Maggio 2018) da quando, con uno storico referendum, l’Irlanda ha votato per l’abrogazione dell’ottavo emendamento, in cui si riconosceva l’equivalenza tra la donna e il feto facendo cadere con esso il divieto di aborto. Eppure, la scorsa settimana, centinaia di persone hanno sfilato per le strade di Dublino cantando “Via I rosari dalle nostre mutande”.
Alcuni dei manifestanti hanno evidenziato come, sebbene la legge possa essere cambiata, molte persone stanno ancora lottando per l’accesso all’aborto a causa delle restrizioni temporali sul termine (fino a 12 settimane), delle attività illegali degli attivisti anti-aborto e del profondo senso di colpa che, soprattutto nelle zone rurali del paese, incide ancora pesantemente sulla volonta’ delle donne.
Piu’ di 300 dottori e 10 ospedali su 19 hanno previsto, da Maggio 2018, un servizio che garantisse libero accesso ai servizi di aborto per quelle donne che avessero necessita’ di usufruirne. D’altro canto, i comitati antiabortisti hanno cominciato a sorvegliare costantemente questi ospedali, rendendo estremamente difficile l’accesso ai servizi di aborto alle donne, anche attraverso violenze verbali e fisiche.
I comitati pro aborto hanno quindi richiesto al Ministro della Sanita’ irlandese, Simon Harris, di creare delle zone di “protezione” intorno agli ospedali, per impedire che i comitati antiabortisti impediscano alle donne di usufruire di un servizio che adesso e’ perfettamente legale nel paese.
A Febbraio, il governo irlandese ha presentato un’ingiunzione contro un attivista anti aborto, Eamonn Murphy, con l’accusa di aver creato un sito internet con un dominio molto simile del sito creato dal governo per informare le donne sulla possibilita’ di abortire (MyOptions). Il sito, secondo l’HSE (il sistema sanitario irlandese) offre informazioni errate e fuorvianti sui servizi offerti (ad esempio, connessioni, ampiamente screditate, tra aborto e cancro al seno).
Fra le attivita’ promosse dai gruppi antiabortisti, c’e’ il ritorno alle famigerate “mother-and-baby-home”, case-famiglia a conduzione religiosa, operanti in Irlanda fino al 2006, e tristemente famose per il trattamento feroce riservato alle donne e ai bambini che ivi nascevano (episodi raccontati magistralmente nel film del 2013 “Philomena” con Judy Dench).
Insomma, nonostante il referendum e la vittoria schiacciante del SI (68%), a distanza di un anno dall’entrata in vigore della legge (1 Gennaio 2019) c’e’ ancora tanta strada da fare per i diritti delle donne irlandesi.