Non si spiega solo con l’aliquota fissa al 12,5% il motivo per il quale l’Irlanda è così attrattiva nei confronti delle imprese e l’economia irlandese continua a crescere. Quello che ha portato all’arrivo delle web company è stato un cammino lungo, iniziato nel 1958 con l’arrivo a Dublino della Leo Pharma, multinazionale danese nel settore dermatologico.
Poi, nel 1989, esattamente 30 anni fa, ecco l’arrivo della prima società tecnologia americana. A Leixlip, 20 chilometri dal centro di Dublino, si è insediata Intel, che da allora ha investito 15 miliardi di dollari per creare il più avanzato campus industriale del settore in Europa, con 4.900 dipendenti.
Da allora è stato un crescendo e sempre più c’è chi sostiene che l’Irlanda, al pari di Porto Rico, sia il 51° Stato degli Usa. Il cordone ombelicale che lega i due lembi dell’oceano è talmente stretto che tra le prime 100 imprese a stelle e strisce sono numerosi i cognomi irlandesi presenti nei consigli di amministrazione. E si moltiplicano gli studi di consulenza legale e fiscale che hanno una sede in Irlanda e un piede nella Silicon Valley.
I primi a capire le potenzialità del paese furono gli americani che cercavano un porto sicuro in Europa da cui partire per raggiungere gli altri mercati. Decisiva per la presenza degli americani è anche la quantità di trattati bilaterali contro la doppia imposizione firmati tra l’Irlanda Dublino è l’epicentro delle multinazionali americane, da Google a Facebook, da Ebay a Oracle, da LinkedIn a HP, ma il Governo negli ultimi anni ha comunque cercato di spingere l’acceleratore sulla decentralizzazione delle multinazionali. A Cork e a Galway si sono sviluppati negli ultimi anni due distretti hi-tech con l’obiettivo di diversificare territorialmente lo sviluppo e decongestionare Dublino
Cork è forse la tessera più importante del puzzle che può aiutare a comprendere perché l’Irlanda sia così attrattiva per le multinazionali. La Commissione europea ha intimato all’Irlanda di riscuotere da Apple 14,3 miliardi di euro di tasse non pagate ma il governo di Dublino si rifiuta di prendere questi soldi. Perché? Sembrerebbe una decisione senza senso rinunciare a una somma che è pari al Prodotto interno lordo annuale di un paese come l’Albania. Invece no, perché se l’Irlanda accettasse di riscuotere questi soldi rischierebbe di crollare il castello costruito negli ultimi decenni sulle fondamenta delle multinazionali. I colossi stranieri potrebbero ritenere non più attrattivo fiscalmente il paese e dunque altre destinazioni. Magari il vicino Regno Unito in preda alla Brexit.
Nel 2014, ad esempio, grazie a un accordo riservato con il governo irlandese, Apple ha pagato lo 0,005% di tasse. Cosa c’è di più attrattivo di una percentuale più bassa di un prefisso telefonico visto che in altri paesi, come per esempio l’Italia, la tassazione media per le imprese viaggia intorno al 25% senza contare altre imposte e tributi locali?
A Galway invece è il settore farmaceutico a far da padrone con un’università all’avanguardia soprattutto nella ricerca farmaceutico-sanitaria. Qui sorge un vero e proprio polo industriale e di ricerca che conta oltre 10mila occupati in oltre 20 società del settore. Tre delle prime 15 società al mondo hanno a Galway la propria sede. Come ad esempio la Boston Scientific. Insieme alle società biofarmaceutiche nei diversi parchi scientifici sparsi attorno alla città sono numerose anche le start up tecnologiche, nate anche in collaborazione con l’università. Qui tocchi con mano come può funzionare in modo efficiente il rapporto di collaborazione tra settore pubblico e privato.
Un ruolo importante per lo sviluppo del paese lo gioca l’Ida, l’agenzia irlandese per l’attrazione degli investimenti esteri, che ha aiutato 1.444 imprese con 229mila dipendenti a insediarsi nell’isola. Di queste, oltre la metà (766) sono statunitensi, seguite dalle società del Regno Unito (120), della Germania (99) e della Francia (63). L’Italia è presente con 29 società che occupano complessivamente 1.600 persone.
Altro fattore importante è la ricerca di alto livello. C’è poi la multiculturalità: un dipendente su due non è irlandese. E infine l’aspetto fiscale con un’aliquota societaria tra le più basse in Europa.
L’impatto sull’economia irlandese da parte delle multinazionali sostenute dall’Ida è visibile nelle cifre. Nel 2017 queste società hanno speso 19,2 miliardi di euro nel paese, il 7% in più rispetto al 2016. La maggior parte di soldi è servita per pagare gli stipendi dei dipendenti (11,7% miliardi di euro), per pagare le forniture di materiali da altre aziende irlandesi (2,4 miliardi) e per pagare servizi di altre imprese dell’isola (5,1 miliardi).
L’altra faccia della medaglia è il fenomeno che il Fondo monetario internazionale definisce degli “investimenti fantasma”, cioé quei flussi finanziari internazionali tra società appartenenti alla stessa multinazionale, che vengono comunemente usati per ridurre le impostesulla società. Molti di questi investimenti passano quindi attraverso scatole vuote. La cifra degli “investimenti fantasma” ha raggiunto nel mondo l’astronomica cifra di 15 trilioni di dollari, quanto il Pil di Cina e Germania messe insieme. L’Irlanda è uno dei maggiori destinatari di questi investimenti che sono stati calcolati in 498 miliardi di euro dal giornale irlandese Independent.