Qualche anno fa passeggiavo per Grafton Street a Dublino, quando sentii arrivare dietro di me due Gardai (i poliziotti irlandesi) che di corsa si dirigevano verso Brown Thomas. Incuriosito, mi avvicinai anche io al piu’ famose negozio di abiti di lusso della capitale irlandese. Insieme a me tante altre persone, che in quel momento frequentavano la via dello shopping (e dei buskers) di Dublino. Il motivo del caos temporaneo era un gruppo di homeless che stava pranzando nel cafe’ del basement del Brown Thomas.
Il pranzo era stato offerto da Sinead O’Connor, che aveva invitato i senzatetto a fare un pasto caldo. In un contesto di lusso, forse per evidenziare le drammatiche differenze sociali ed economiche della società’ irlandese. “The Lion and the Cobra”, l’album di debutto non era male, ma non avevo mai particolarmente seguito la cantate di Bray, ma da quel giorno segui con maggiore interesse il percorso artistico e politico della cantante.
Ieri, il corpo senza vita di Sinead O’Connor è stato trovato in un appartamento di Londra. Aveva 56 anni. Auden scrisse di Yeats: “L’Irlanda folle ti ha ferito, fino a farti diventare poeta”. L’Irlanda crudele ha fatto sì che Sinead O’Connor si trasformasse in una canzone. Definì l’Irlanda una teocrazia. Era furiosa per il fatto che, in un Paese che si supponeva avesse combattuto per conquistare la libertà, le donne e i bambini fossero messi a tacere e privati dei loro diritti. Capiva e aveva sperimentato il dolore, l’abbandono e l’ingiustizia e cantava per coloro che conoscevano, come lei, queste cose.
Negli anni ’80, Sinead O’Connor saliva sul palco, calva, con un tutù e delle Doc Martens, e ostentava il suo pancione. La sua voce si librava e si impennava, feroce un momento, dolcemente tenera quello successivo. Era sempre assolutamente se stessa. “Black Boys on Mopeds”, era la sua struggente ballata sull’ipocrisia, la violenza della polizia e il razzismo. La canzone parlava dell’Irlanda del Nord, quando sembrava che Margaret Thatcher sarebbe stata per sempre il primo ministro britannico.
Nel 1992, la O’Connor strappò una foto di Papa Giovanni Paolo II durante un’apparizione al “Saturday Night Live” e molti dissero che, in quel preciso momento, aveva distrutto la sua carriera. Lei disse invece che quel gesto l’aveva portata nella direzione in cui aveva sempre voluto che andasse. Spiegava di essere una cantante di protesta, non una pop star. Kris Kristofferson si schierò al suo fianco e scrisse una risposta ai suoi critici: “Forse è pazza, forse no, ma lo era anche Picasso e lo erano anche i santi”.
Nel 2020 la vidi per la prima e ultima volta in un concerto a Dublino. Era in forma smagliante, era incredibile sentirla cantare “Nothing Compares 2 U”, con il pubblico che cantava con lei. Come tutti i cantanti non amava la sua canzone di maggior successo e la cantava sempre più raramente, ma nel concerto vidi la sua gioia quando si rese conto che la stavano cantando “per lei” e non “con lei”.
Oggi, è sulle prime pagine di tutti i giornali irlandesi. Sono rimasto sorpreso da quanto siano colpiti giornali e irlandesi della sua scomparsa. “Devastated” è la parola più usata. Un post di una fan su Instagram citava oggi la poesia di Yeats che ha ispirato il suo straordinario “Troy”: “What could have made her peaceful with a mind/That nobleness made simple as a fire. … Why, what could she have done, being what she is?/Was there another Troy for her to burn?”. Un altro commento è stata condiviso da Women’s Aid Ireland: “Grazie Sinéad. Per la tua voce impavida e la tua luce coraggiosa. Hai veramente sfidato un’Irlanda, e un mondo, che soffocava le donne, i bambini e chiunque non si conformasse”.
In una dichiarazione di mercoledì, Michael D. Higgins, presidente dell’Irlanda, ha parlato del suo “fearless commitment” nell’esporre verità scomode. L’Irlanda è in lutto. Pur in perenne contrasto Sinead O’Connor era parte dell’Irlanda.