La visita di Papa Francesco in Irlanda, avvenuta sabato e domenica, ha mostrato soprattutto una cosa: che l’Irlanda è profondamente cambiata e non è più il bastione della fede cattolica che è stata per secoli. La partecipazione dei fedeli alle apparizioni pubbliche del Papa e soprattutto alla messa celebrata domenica nel Phoenix Park di Dublino sono state ben al di sotto delle aspettative; lo stesso vale per il clima generale, che non è stato particolarmente caloroso e accogliente ma pieno di freddezza e con anche qualche manifestazione di protesta.
Un allontanamento così radicale non è dovuto a un’antipatia nei confronti del nuovo Papa e non si spiega solo con la crisi che sta attraversando la Chiesa in Irlanda dopo la pubblicazione, nel 2009, del rapporto della Commissione d’inchiesta sugli abusi su minori, che denunciava più di 2.500 casi avvenuti negli istituti religiosi tra il 1940 e il 1980, fino a quel momento insabbiati. È soprattutto indice della laicizzazione del paese negli ultimi 40 anni.
Nel 1979 il 90 per cento degli irlandesi si dichiarava cattolico, l’omosessualità e il divorzio erano illegali, il movimento femminista esisteva ma era una piccola minoranza e le lotte per i diritti delle donne non erano all’ordine del giorno; le persone che soffrivano per colpa della Chiesa, soffrivano in silenzio. Ora chi va a messa è il 35 per cento della popolazione; nel 1995 un referendum ha legalizzato il divorzio; nel 2015 sono stati approvati i matrimoni tra persone dello stesso sesso (che un segretario di stato del Vaticano commentò così) e il Taoiseach Leo Varadkar, cioè il primo ministro, è apertamente gay, oltre che di origini indiane e il più giovane della storia del paese. A maggio 2018 il 66 per cento degli irlandesi ha votato a favore del referendum per rimuovere il divieto di aborto dalla Costituzione.
Papa Francesco ha cercato di arginare questo allontanamento tenendo subito un discorso di rara condanna nei confronti dell’operato della Chiesa e chiedendo apertamente scusa per gli abusi sessuali commessi dal clero:
«Il fallimento delle autorità ecclesiastiche – vescovi, superiori religiosi, sacerdoti e altri – nell’affrontare adeguatamente questi crimini ripugnanti ha giustamente suscitato indignazione e rimane causa di sofferenza e di vergogna per la comunità cattolica. Io stesso condivido questi sentimenti».
Poi il Papa ha incontrato otto persone che avevano subito abusi sessuali.
Di fatto il Papa ha passato la maggior parte dei suoi due giorni in Irlanda a chiedere scusa per gli errori della Chiesa. Dopo averlo incontrato, il presidente irlandese Michael Higgins ha detto di avergli parlato di «come una repubblica è tale perché garantisce gli stessi diritti a tutti, di come gli atti di esclusione, compresi quelli fondati sul genere e l’orientamento sessuale, abbiano causato e tuttora causino grande sofferenza». Il primo ministro Varadkar ha tenuto un discorso in sua presenza in cui ha parlato dei «crimini brutali perpetrati da gente della Chiesa cattolica e poi insabbiati per proteggere le istituzioni ai danni di vittime innocenti». E ricordato che «i matrimoni non sempre funzionano, le donne dovrebbero poter fare le loro scelte, e non c’è un’unica idea di famiglia».
Il momento più intenso è stato quando lo stesso Papa ha chiesto ufficialmente scusa, durante la messa di domenica: «Chiediamo perdono per gli abusi in Irlanda, abusi di potere e coscienza, abusi sessuali da parte di qualificati membri della Chiesa. Chiediamo perdono per quei membri della gerarchia che non si sono fatti carico di queste situazioni dolorose e sono rimasti in silenzio». In quello stesso giorno l’arcivescovo italiano Carlo Maria Viganò – dal 2011 al 2016 rappresentante diplomatico della Santa Sede negli Stati Uniti – ha chiesto le sue dimissioni accusandolo di essere stato a conoscenza per anni degli abusi sessuali commessi da un cardinale statunitense e di non avere fatto nulla per fermarlo.
Durante la messa il Papa ha anche chiesto scusa per il comportamento della Chiesa verso le madri single non sposate, e in particolare per le donne che, una volta partorito, vennero separate dai loro figli che restavano in orfanotrofi o venivano dati in adozione. A Tuam, nella contea di Galway, circa mille persone si sono radunate per ricordare in silenzio i “bambini di Tuam“, una delle dieci istituzioni gestite dal clero cattolico in cui vennero mandate circa 35 mila donne non sposate e dove morirono, tra il 1925 e il 1961, quasi 800 bambini.